DOSSIER VIVISEZIONE
Follia
La ragione per cui i modelli animali sono privi di qualsiasi valore scientifico di solito appare evidente a tutti, ad eccezione dei vivisettori: ogni specie possiede caratteristiche anatomiche, fisiologiche, genetiche e biochimiche peculiari e quindi non può costituire modello per nessuna altra specie. Insomma quanti utilizzano nella ricerca gli animali commettono quello che il professor. Croce ha definito un “errore metodologico’’, ovvero un errore intrinseco al metodo stesso. Ad esempio, se gli astrofisici, come nel medioevo, considerassero il pianeta Terra fermo e il Sole in movimento, con tale premessa non otterrebbero alcun risultato scientificamente valido e l’unico modo per migliorare sarebbe quello di cambiare radicalmente la premessa e di considerare, come avviene realmente, il Sole fermo e la Terra in movimento. Analogamente non dobbiamo cercare di migliorare i modelli animali e renderli più simili al funzionamento dell’organismo umano: dobbiamo invece rifiutarli poiché partono da una premessa errata ed impostare la ricerca su metodi realmente scientifici. Nel campo della psichiatria l’errore metodologico diventa doppio, poiché alle differenze biologiche si aggiunge l’incapacità degli animali di comunicare con il nostro stesso linguaggio. Tutte le patologie psichiatriche infatti non vengono diagnosticate con esami strumentali o di laboratorio, ma attraverso colloqui e la terapia stessa (almeno nelle patologie meno gravi) si basa ancora su forme particolari di comunicazione verbale: le cosiddette psicoterapie. Risulta quindi assolutamente incomprensibile come i vivisettori possano credere o illudersi che, ad esempio, un ratto che pesa pochi grammi, con una struttura psichica primordiale e non in grado di comunicare con il nostro stesso linguaggio, possa essere un valido modello per patologie quali l’ansia, la depressione o la schizofrenia. In realtà i vivisettori anche in questo caso commettono un errore basilare, confondendo il concetto di sintomo con quello di sindrome. Per spiegarmi meglio faccio un esempio: la febbre è il sintomo e l’influenza la sindrome, ovvero una combinazione di sintomi tra i quali vi è anche la febbre. Insomma la sindrome è una entità specifica e unica, mentre il sintomo può essere presente in più sindromi o patologie. Così alcuni modelli animali utilizzati in campo psichiatrico vengono considerati validi per patologie diverse. Ad esempio, se sottoponiamo un animale a ripetute scariche elettriche (shock elettrico) il risultato viene valutato in maniera difforme a seconda del ricercatore. Martin Selingman riteneva che gli animali (in questo caso cani) sottoposti a scariche elettriche che non potevano evitare, ad un certo punto “rinunciavano ad ogni tentativo di evitare lo shock elettrico e diventavano apatici ed impotenti” (1). Quindi per questo ricercatore lo shock animale era un valido modello per le ricerche sulla depressione. Altri autori quali Liddell e Masserman invece ritengono che animali sottoposti a stimoli nocivi ripetuti diventino nevrotici e quindi siano un valido modello sperimentale per i disturbi d’ansia (2). L’errore commesso quindi da questi autori è quello di confondere i sintomi ansia e depressione manifestati dagli animali con le sindromi ansiosa e depressiva. Tutto ciò avviene perché non possiamo chiedere all’animale spiegazioni sul suo comportamento. Infatti se torniamo all’esempio dello shock elettrico, gli animali frequentemente dopo diverse scariche subite si ritirano in un angolo della gabbia. Se per ipotesi ciò avvenisse ad una persona, potremmo chiederle per quale motivo si sia rannicchiata in un angolo della gabbia, ma con gli animali è impossibile. Allora compiamo una forzatura e forniamo noi una spiegazione che solo in via del tutto ipotetica potrebbe essere quella giusta. Infatti potremmo dire che l’animale è depresso e quindi non vuole più socializzare, oppure che è diventato tanto ansioso e spaventato che cerca di evitare ogni contatto sociale oppure che non è più in grado di socializzare in maniera corretta e quindi ha sviluppato un ritiro psicotico. Ognuna di queste ipotesi presenta un fondamento razionale, ma non sapremo mai quale è quella giusta o se ne esiste un’altra corretta. Nonostante il buon senso e la ragione dovrebbero spingere i ricercatori a modificare i propri comportamenti, nulla sembra cambiare. II risultato di questo che potremmo chiamare un delirio di onnipotenza dei vivisettori, è la scarsa conoscenza dei fenomeni psichici. Quindi, anche nel caso della psichiatria, l’impiego degli animali nella ricerca rappresenta un freno al progresso scientifico e un furto di risorse economiche, che potrebbero meglio essere impiegate nel campo della riabilitazione ovvero degli interventi terapeutici, curativi per i pazienti e di aiuto per le famiglie.
Follia
La ragione per cui i modelli animali sono privi di qualsiasi valore scientifico di solito appare evidente a tutti, ad eccezione dei vivisettori: ogni specie possiede caratteristiche anatomiche, fisiologiche, genetiche e biochimiche peculiari e quindi non può costituire modello per nessuna altra specie. Insomma quanti utilizzano nella ricerca gli animali commettono quello che il professor. Croce ha definito un “errore metodologico’’, ovvero un errore intrinseco al metodo stesso. Ad esempio, se gli astrofisici, come nel medioevo, considerassero il pianeta Terra fermo e il Sole in movimento, con tale premessa non otterrebbero alcun risultato scientificamente valido e l’unico modo per migliorare sarebbe quello di cambiare radicalmente la premessa e di considerare, come avviene realmente, il Sole fermo e la Terra in movimento. Analogamente non dobbiamo cercare di migliorare i modelli animali e renderli più simili al funzionamento dell’organismo umano: dobbiamo invece rifiutarli poiché partono da una premessa errata ed impostare la ricerca su metodi realmente scientifici. Nel campo della psichiatria l’errore metodologico diventa doppio, poiché alle differenze biologiche si aggiunge l’incapacità degli animali di comunicare con il nostro stesso linguaggio. Tutte le patologie psichiatriche infatti non vengono diagnosticate con esami strumentali o di laboratorio, ma attraverso colloqui e la terapia stessa (almeno nelle patologie meno gravi) si basa ancora su forme particolari di comunicazione verbale: le cosiddette psicoterapie. Risulta quindi assolutamente incomprensibile come i vivisettori possano credere o illudersi che, ad esempio, un ratto che pesa pochi grammi, con una struttura psichica primordiale e non in grado di comunicare con il nostro stesso linguaggio, possa essere un valido modello per patologie quali l’ansia, la depressione o la schizofrenia. In realtà i vivisettori anche in questo caso commettono un errore basilare, confondendo il concetto di sintomo con quello di sindrome. Per spiegarmi meglio faccio un esempio: la febbre è il sintomo e l’influenza la sindrome, ovvero una combinazione di sintomi tra i quali vi è anche la febbre. Insomma la sindrome è una entità specifica e unica, mentre il sintomo può essere presente in più sindromi o patologie. Così alcuni modelli animali utilizzati in campo psichiatrico vengono considerati validi per patologie diverse. Ad esempio, se sottoponiamo un animale a ripetute scariche elettriche (shock elettrico) il risultato viene valutato in maniera difforme a seconda del ricercatore. Martin Selingman riteneva che gli animali (in questo caso cani) sottoposti a scariche elettriche che non potevano evitare, ad un certo punto “rinunciavano ad ogni tentativo di evitare lo shock elettrico e diventavano apatici ed impotenti” (1). Quindi per questo ricercatore lo shock animale era un valido modello per le ricerche sulla depressione. Altri autori quali Liddell e Masserman invece ritengono che animali sottoposti a stimoli nocivi ripetuti diventino nevrotici e quindi siano un valido modello sperimentale per i disturbi d’ansia (2). L’errore commesso quindi da questi autori è quello di confondere i sintomi ansia e depressione manifestati dagli animali con le sindromi ansiosa e depressiva. Tutto ciò avviene perché non possiamo chiedere all’animale spiegazioni sul suo comportamento. Infatti se torniamo all’esempio dello shock elettrico, gli animali frequentemente dopo diverse scariche subite si ritirano in un angolo della gabbia. Se per ipotesi ciò avvenisse ad una persona, potremmo chiederle per quale motivo si sia rannicchiata in un angolo della gabbia, ma con gli animali è impossibile. Allora compiamo una forzatura e forniamo noi una spiegazione che solo in via del tutto ipotetica potrebbe essere quella giusta. Infatti potremmo dire che l’animale è depresso e quindi non vuole più socializzare, oppure che è diventato tanto ansioso e spaventato che cerca di evitare ogni contatto sociale oppure che non è più in grado di socializzare in maniera corretta e quindi ha sviluppato un ritiro psicotico. Ognuna di queste ipotesi presenta un fondamento razionale, ma non sapremo mai quale è quella giusta o se ne esiste un’altra corretta. Nonostante il buon senso e la ragione dovrebbero spingere i ricercatori a modificare i propri comportamenti, nulla sembra cambiare. II risultato di questo che potremmo chiamare un delirio di onnipotenza dei vivisettori, è la scarsa conoscenza dei fenomeni psichici. Quindi, anche nel caso della psichiatria, l’impiego degli animali nella ricerca rappresenta un freno al progresso scientifico e un furto di risorse economiche, che potrebbero meglio essere impiegate nel campo della riabilitazione ovvero degli interventi terapeutici, curativi per i pazienti e di aiuto per le famiglie.
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